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Il condomino
Dati personali in condominio

Con il provvedimento n. 106 del 19 febbraio 2015, il Garante della privacy ha deciso un ricorso proposto da un condomino nei confronti del suo amministratore, in cui, ai sensi dell'art. 7 del D.Lgs. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali, di seguito “Codice”), aveva chiesto di ottenere la cancellazione dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non era necessaria la conservazione in relazione agli scopi per cui gli stessi dati erano stati raccolti o successivamente trattati.

In particolare, il ricorrente aveva lamentato l'illegittima acquisizione, da parte dell'amministratore del condominio, dei dati personali che lo riguardavano contenuti nell'atto di compravendita dell'unità immobiliare di cui lo stesso era proprietario e la cui copia sarebbe stata indebitamente ottenuta dal predetto amministratore presso i pubblici registri, ponendo il relativo onere a carico dell'interessato.

In proposito, va ricordato che l’art. 1130, n. 6), cod. civ. contempla, tra le attribuzioni dell’amministratore, quella di curare la tenuta del registro dell’anagrafe condominiale, che deve contenere i dati anagrafici dei condomini (oltre che di tutti coloro che vantano diritti reali o personali di godimento aventi a oggetto singole unità abitative del fabbricato); di ciascuno di questi soggetti si dovranno ottenere le generalità, «comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare» (in forza dell’art. 1, comma 9, lett. c, del D.L. 145/2013, “destinazione Italia”, convertito, con modificazioni, dalla legge 9/2014, al citato n. 6, dopo le parole «nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza», sono inserite le seguenti: «delle parti comuni dell’edificio», escludendo così che tali condizioni afferiscano alle unità immobiliari esclusive).

Inoltre le variazioni dei suddetti dati devono essere comunicate all’amministratore in forma scritta entro 60 giorni dal loro verificarsi: quest’onere di comunicazione fa il paio con i commi 4 e 5 del riformato art.63 disp. att. cod. civ., in forza dei quali, fermo l’obbligo solidale di pagamento dei contribuiti dell’anno in corso e di quello precedente, gravante su chi subentri nei diritti di un condomino, chi ceda tali diritti su unità immobiliari resta ora obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa al medesimo amministratore «copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto».

L’art. 1130, n. 6), cod. civ. conclude statuendo che, ove la comunicazione di cui sopra non avvenga o quando comunque i dati da inserire nell’anagrafe risultino incompleti, l’amministratore può chiedere ragguagli agli interessati con lettera raccomandata; decorsi 30 giorni dal suo ricevimento, se all’amministratore non perviene una risposta soddisfacente, ossia qualora la risposta sia mancata o sia incompleta, questi potrà acquisire in altro modo le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili.

La qualifica di condomino

Ritornando al giudizio svoltosi davanti all’Authority, l'amministratore resistente aveva dedotto:

  • di avere provveduto a cancellare tutti i dati riferiti all'atto pubblico di compravendita dell'immobile di proprietà del ricorrente «dalle registrazioni relative alla posizione del Sig. … quale condomino delcondominio … », assumendo l'impegno ad astenersi per il futuro dal porre in essere analoghe attività di acquisizione;
  • di essersi dovuto attivare autonomamente al fine di reperire le informazioni necessarie per ottemperare ai propri obblighi giuridici richiesti dalla legge per la compilazione dell’anagrafe condominiale;
  • di avere dato comunque assicurazione circa l'esclusione di costi a carico dell'interessato in relazione alle spese sostenute per l'estrazione del documento.

Nel prendere atto del riscontro fornito dall’amministratore, il ricorrente aveva contestato quanto affermato dal resistente, rilevando che quest'ultimo non si fosse limitato a chiedere la comunicazione dei suoi dati anagrafici, bensì la trasmissione di “copia del rogito”, ponendo tale consegna come condizione per il suo inserimento all'interno della compagine condominiale; inoltre, nel ribadire l'illegittimità di tale condotta, se ne era rilevata la contraddittorietà, tenuto conto che l'amministratore, da un lato, aveva affermato che la condizione di proprietario dell'immobile era di per sé sufficiente per acquisire la qualifica di condomino, mentre, dall'altro, aveva subordinato la regolarizzazione della posizione del medesimo alla produzione della copia conforme dell'atto pubblico di compravendita.

Il Garante della privacy, preso atto di quanto sopra, ha dichiarato, ex art. 149, comma 2, del Codice, il non luogo a provvedere sul ricorso, avendo il titolare del trattamento (l’amministratore del condominio) fornito un sufficiente riscontro alle specifiche istanze avanzate dal condomino interessato, seppure solo dopo la presentazione del ricorso, il che comportava l’obbligo di rifondere le spese processuali alla controparte.

La documentazione acquisibile

Segnatamente si è ribadito che l'art. 1130, n. 6), cod. civ., così come modificato dalla legge 220 dell’11 dicembre 2012, impone all'amministratore di condominio di redigere il registro di anagrafe condominiale, nel quale devono essere riportate le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale, della residenza o domicilio e dei dati catastali di ciascuna unità immobiliare, prevedendo che, in caso di inerzia/mancanza/incompletezza delle comunicazioni da parte degli interessati, i dati vengano richiesti con lettera raccomandata indirizzata agli stessi, salvo prevedere, in caso di omessa o incompleta risposta, il diritto del medesimo di acquisirle autonomamente ponendo il relativo costo a carico dei responsabili.

Si è però precisato che le suddette informazioni devono essere raccolte e trattate nel rispetto delle regole dettate dal Codice, con particolare riguardo ai principi di “proporzionalità, pertinenza e non eccedenza”.

Al riguardo si è richiamato quanto riportato nella newsletter dello stesso Garante n. 387 del 23 aprile 2014, secondo la quale si deve escludere la sussistenza, in capo ai condomini, dello specifico obbligo di allegare atti o copie di essi a riprova delle dichiarazioni rese, conseguendone che l’amministratore non può esercitare alcuna pretesa acquisitiva in tale senso.

Nel caso di specie, sulla base della documentazione depositata, è risultato che la richiesta di informazioni avanzata dall'amministratore, successivamente all'acquisto della proprietà dell'immobile in capo al ricorrente, anziché limitarsi alla sola comunicazione dei dati da inserire nel registro, era diretta a ottenere copia dell'atto di compravendita, con ciò esulando dall'àmbito di applicazione della norma.

Inoltre lo stesso amministratore, a fronte della mancata trasmissione dell'atto di compravendita, anziché chiedere all'interessato la comunicazione delle proprie generalità, si è autonomamente attivato al fine di reperire tale atto presso i pubblici registri, con ciò ponendo in essere un “trattamento eccedente” rispetto a quanto previsto dalla citata normativa.

Le operazioni di trattamento

Per il resto, rimangono ferme le prescrizioni più volte indicate dallo stesso Garante della privacy in ordine alle operazioni di trattamento di dati personali effettuate nell’àmbito delle attività connesse all’amministrazione condominiale (si veda soprattutto il provvedimento del 19 maggio 2006, nonché il recente vademecum del Garante del 10 ottobre 2013 Il condominio e la privacy, in cui si prende atto che le diverse informazioni contenute negli archivi condominiali vanno oltre il semplice elenco dei nominativi dei soggetti coinvolti e, se non opportunamente “trattate”, potrebbero rivelare informazioni anche delicate sui vari abitanti del palazzo).

In particolare, in virtù del principio di liceità di cui all’art. 11 del Codice, possono formare oggetto di trattamento da parte dell’amministratore, quale responsabile ai sensi degli artt. 4, comma 1, lett. g), e 29, le sole informazioni personali pertinenti rispetto allo svolgimento delle attività di gestione delle parti comuni e idonee a determinare le posizioni di dare-avere dei singoli partecipanti (siano essi proprietari o usufruttuari).

In questa prospettiva, le informazioni trattate possono altresì riferirsi a ciascun partecipante, individualmente considerato, sempre però in quanto necessarie ai fini dell’amministrazione comune: rientrano appunto in tale àmbito sicuramente i dati anagrafici e gli indirizzi dei condomini, elementi la cui conoscenza risulta indispensabile per consentire la regolare convocazione dell’assemblea; parimenti possono formare oggetto di lecito trattamento le quote millesimali attribuite a ciascuno dei condomini, rilevanti per la determinazione degli oneri contributivi, nonché per l’individuazione dei quorum occorrenti alla formazione della volontà assembleare.

Invece solo in presenza del consenso dell’interessato ? salvo l’eventuale loro previo inserimento in appositi elenchi pubblici ? potranno inserirsi nel suddetto registro le informazioni relative alle utenze telefoniche intestate ai singoli partecipanti.

In conclusione, l'amministratore può acquisire le informazioni che consentono di identificare e contattare i singoli partecipanti al condominio ? siano essi proprietari, usufruttuari, conduttori o comodatari ? chiedendo le generalità comprensive di codice fiscale, residenza o domicilio; del pari può chiedere i dati catastali della singola unità immobiliare (sezione urbana, foglio, particella, subalterno ecc.), tuttavia non può chiedere, perché risulterebbe “eccedente”, copia della relativa documentazione, come, per esempio, l'atto di compravendita in cui sono riportati tali dati.

Il credito relativo alle spese legali

Al contempo l’amministratore di condominio non è solo titolare di diritti di acquisizione esercitabili nei confronti dei condomini, ma si rivela anche soggetto a precisi obblighi, sempre sul versante della documentazione afferente ai condomini, questa volta nei confronti dei terzi, in particolare dei creditori delcondominio.

Di tale tematica si è occupato il tribunale di Monza, con la recente ordinanza del 3 giugno 2015, conclusiva di un procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702-bis cod. proc. civ., in cui un avvocato chiedeva all’amministratore di potere avere l’intera anagrafe condominiale, in quanto il suo credito per le spese legali liquidate in una sentenza non era stato saldato dal condominio.

Quest’ultimo si era difeso, da un lato, invocando la cessazione della materia del contendere, in quanto l’attore, nelle more, aveva pignorato il conto corrente intestato al condominio, e, dall’altro, rilevando che lo stesso attore non si era limitato a chiedere il nome dei soli condomini morosi.

La prima eccezione è stata agevolmente superata dal magistrato lombardo, perché il pignoramento (nella specie, presso terzi) non soddisfa alcun interesse dell’attore in via definitiva, in quanto la soddisfazione si ha solo con l’assegnazione del credito (art. 553 cod. proc. civ.), laddove nel caso di specie doveva ancora tenersi l’udienza fissata per la dichiarazione del terzo.

Il secondo profilo è stato oggetto di maggiore considerazione, anche se la soluzione raggiunta suscita qualche perplessità.

Il nuovo sistema di riscossione dei contributi

Occorre prendere le mosse dal novellato art. 63 disp. att. cod. civ., il quale stabilisce che, «per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi» (comma 1), aggiungendo che «i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini» (comma 2).

In questa sede, interessa soprattutto quella disposizione che contempla l’obbligo, da parte dell’amministratore, di comunicare i dati dei condomini morosi, su richiesta del creditore delcondominio, consentendo a quest’ultimo di rivolgere le sue richieste ed eventualmente intraprendere l'azione giudiziaria direttamente nei confronti dei condomini che non hanno pagato i contributi condominiali.

A questo punto, ci si chiede, in generale, fino a dove si estende detto obbligo di cooperazione (e connessa responsabilità), in capo all’amministratore, nei confronti dei creditori del condominio che lo interpellano, ossia di soggetti diversi dai condomini, in un’ottica volta a intravedere un dovere legale di salvaguardia dell’aspettativa di soddisfazione di crediti nascenti dalla gestione condominiale, prescindendo dal contenuto del programma interno del rapporto di mandato; in particolare, ci si domanda quali sono i dati che lo stesso amministratore è tenuto a comunicare, nel senso se dette informazioni attengono solo ai condomini morosi o anche a quelli in regola con i pagamenti e in quale misura scatta l’obbligo informativo.

In quest’ordine di concetti, il tribunale di Monza ha condannato l’amministratore a fornire al creditore l’anagrafe completa di tutti i condomini, con l’indicazione delle quote millesimali di ciascuno.

L’obbligo di cooperazione
in capo all’amministratore

Il giudice adìto ha riconosciuto che l'art. 63 disp. att. cod. civ. parla di informativa riguardo ai soli condomini morosi, conseguendone che la morosità dovrebbe riguardare concretamente il debito vantato dal creditore istante, ma ha aggiunto che l'assemblea potrebbe avere deliberato sulla voce di debito o, nel caso, per esempio, di spesa imprevista, non ancora disposto nulla in merito e, a seconda dell'ipotesi in cui si versa, vi sarebbe già a monte una distinzione tra i condomini in regola con i pagamenti e quelli morosi.

Ciò avviene nel primo caso, quando vi sia già stata una deliberazione assembleare in proposito, dove peraltro potrebbe risultare possibile che tutti i condòmini, o solo alcuni, siano morosi; viceversa, nella seconda ipotesi, vale a dire in mancanza di deliberazione assembleare, di fatto (tecnicamente) nessun condomino risulterebbe moroso, venendo a mancare il piano di riparto approvato dall'assemblea ex art. 63 disp. att. cod. civ. (condizione necessaria affinché si possa parlare di morosità), ma nondimeno gli stessi sarebbero legalmente debitori pro quota nei confronti del terzo creditore.

Fatta questa premessa, il tribunale di Monza afferma che «il creditore non può sapere, siccome estraneo al condominio, se vi siano effettivamente alcuni condomini morosi rispetto al suo credito o se lo siano tutti, oppure se il suo credito nemmeno sia stato deliberato in assemblea, sì che tutti i condomini sono tenuti pro quota e senza applicazione dell'art. 63, comma 2, disp. att. cod. civ.; proprio in ragione di questa asimmetria informativa tra amministratore e creditore, deve ritenersi che l'àmbito dell'art. 63, comma 1, disp. att. cod. civ. e il correlativo obbligo di informazione si estenda anche al caso in cui il creditore chieda l'intera anagrafica dei condomini; così facendo, il creditore si tutela in via preventiva, avanzando una richiesta comprensiva sia dell'ipotesi in cui tutti i condomini siano morosi, sia di quella in cui siano comunque tenuti tutti pro quota (per omessa deliberazione assembleare del credito)».

A questo punto,?aggiunge il giudice monzese abbastanza contraddittoriamente,?«sarà l'amministratore a specificare al creditore se qualche condomino non sia moroso, avendo pagato la sua quota (debito deliberato in assemblea), e quindi a fornire i soli nominativi dei morosi, mentre, in caso contrario, fornirà tutti i nominativi».

Secondo l’ultima considerazione, la natura del contendere sembra diminuire di importanza, nel senso che, sia nel caso di mancata deliberazione, sia nel caso di spese impreviste, a prescindere dalla tipologia di richiesta del creditore, l'amministratore dello stabile sarebbe comunque obbligato a fornire l'elenco completo dei soli condomini debitori, che potrebbero essere anche la totalità dei partecipanti alcondominio; tuttavia la ratio del comma 1 del citato art. 63 va rinvenuta anche nel proteggere laprivacy dei condomini virtuosi, per i quali non scatterebbe l’esonero del consenso, non richiesto solo laddove il trattamento sia necessario per adempiere un obbligo previsto dalla legge, qui appunto inesistente perché si permette di agire nei loro confronti solo dopo avere infruttuosamente escusso i morosi.

Peraltro appare curiosa la configurazione della suddetta “tutela preventiva” da parte del creditore non soddisfatto, poiché è ragionevole prevedere che quest’ultimo, prima di adire il magistrato, dovrebbe quanto meno avanzare siffatta richiesta nelle vie bonarie e poi, se del caso in caso di rifiuto, avviare la procedura giudiziaria; in quest’ottica, non sembra ravvisabile alcuna giustificazione nel richiedere preventivamente l'elenco completo dei condomini, a meno che non si ritengano non veritiere le informazioni ricevute dall'amministratore, veridicità peraltro accertabile da un mero riscontro contabile, che potrebbe comportare profili di responsabilità personale in capo al destinatario della richiesta.

Il dato del condomino moroso

Maggiormente condivisibile invece è l’altro rilievo del tribunale avente a oggetto la portata dell'obbligo di informare in relazione alle quote millesimali dei condòmini, richiesta anch'essa ritenuta illegittima, per violazione dell'art. 63 disp. att. cod. civ., da parte del condominio convenuto.

È vero che l'art. 1130, n. 6), cod. civ., trattando dell'anagrafe condominiale, non menziona le quote millesimali di ciascun condomino; tuttavia l'espressione «dati», che compare nell'art. 63, comma 1, disp. att. cod. civ., deve intendersi comprensiva anche delle suddette quote millesimali; tanto si desume, secondo il magistrato lombardo, in via di interpretazione sistematica, dall'art. 63, comma 2, disp. att. cod. civ., nel senso che la sussidiarietà implica che non vi è solidarietà e che quindi vale l'idea dell'azione pro quota del terzo creditore verso il singolo moroso, come imposta a partire da Cass., S.U., n. 9148/2008.

D’altronde la mancata indicazione dei millesimi di proprietà non consentirebbe al creditore alcun riscontro in merito alla correttezza della quota versata dai singoli condomini, evenienza che comporterebbe estenuanti richieste all'amministratore, ma anche un’eventuale opposizione in giudizio da parte del condomino moroso, se lo stesso asserisca di dovere pagare meno in relazione alle effettive carature millesimali di proprietà, dato questo che, diversamente opinando, il creditore potrebbe non conoscere.

La circolazione interna delle informazioni

Diversa si atteggia la situazione nei rapporti interni, in quanto il singolo condomino può conoscere le spese e gli inadempimenti degli altri condomini, sia all’atto del rendiconto annuale, sia in ogni momento facendone richiesta all’amministratore; in questa ipotesi, deve prevalere il principio della trasparenza nella gestione condominiale, sicché l’eventuale richiamo alla privacy per impedire la conoscenza di queste informazioni è fuori luogo, perché trattasi di dati che tutti i partecipanti devono poter conoscere, precisando opportunamente che, per ottenere le informazioni relative alla gestione del condominio e sulla posizione contabile (e debitoria) degli altri, non è necessario il consenso dei condomini interessati.

Tuttavia il diritto alla trasparenza non significa che si possano divulgare informazioni sulle morosità al di fuori dell’àmbito condominiale, sicché si rivela assolutamente vietato esporre avvisi di mora o sollecitazioni di pagamento in spazi condominiali accessibili a terzi (per esempio, all’ingresso del palazzo), tanto più che si obbliga espressamente l’amministratore a comunicare esclusivamente ai creditori non ancora soddisfatti, che ne facciano richiesta, i dati dei condomini morosi, affinché i terzi possano escutere questi ultimi preventivamente prima di rivolgersi ai condomini adempienti (art. 63, comma 1, disp. att. cod. civ.).

La medesima legge 220/2012 obbliga l’amministratore a fare transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto delcondominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio stesso, contemplando altresì la facoltà, in capo a ogni condomino, di chiedere, per il tramite dell’amministratore, di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica (art. 1129, comma 7, cod. civ.).

Resta fermo che il singolo può conoscere tutte le informazioni relative all’intera gestione condominiale in base ad altre norme dell’ordinamento, segnatamente alle disposizioni del codice civile modificate dalla novella, e, in particolare, in forza dell’art. 1129, comma 2, cod. civ., per quanto concerne i quattro “registri” di cui all’art. 1130, nn. 6) e 7), cod. civ. ? ossia quello dell’anagrafe condominiale, dei verbali delle assemblee, di nomina e revoca dell’amministratore, nonché di contabilità ? nonché dell’art. 1130-bis, comma 1, cod. civ., relativamente ai documenti giustificativi di spesa, nell’àmbito del rendiconto condominiale.

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